NOTIZIARIO LIBRI, di Paola Barbetti (ANSA) - ROMA, 10 GIU - MARIA ANTONIETTA SERCI-MARTINO SENIGA (a cura): 'GIULIO SENIGA. CREDEVO NEL PARTITO' (BFS EDIZIONI; 14 euro).
Anni oscuri, avventurosi, straordinari quelli del primo dopoguerra in Italia. Anni pieni ancora di interrogativi, di domande che aprono ferite e che pesano come ipoteche sulla storia dei grandi partiti di massa. Il libro, curato da una archivista del movimento operaio come Maria Antonietta Serci e da Martino Seniga, giornalista di Rai News e figlio di Giulio Seniga, si avvale proprio di due fondamentali requisiti della storia come verità, la ricerca minuziosa e sempre documentata d'archivio e la testimonianza diretta. Si legge d'un fiato, come un giallo, ma anche come la sceneggiatura di un docufilm sulla vita di un uomo testimone e protagonista del proprio tempo. L'uomo è Giulio Seniga, il tempo storico è quello dei primi anni Cinquanta visti dal cuore della direzione del Partito comunista italiano, ai tempi dallo storico scontro fra Togliatti e il vicesegretario Pietro Secchia, all'indomani della Resistenza, dell'attentato al segretario da poco rientrato da Mosca e della storica sconfitta della sinistra. Sono gli anni della stretta osservanza a Mosca da dove giungono anche i finanziamenti a quello che si sta per costituire come il più importante partito comunista in un occidente in piena guerra fredda. Nel Pci ci sono diverse anime, non tutti i contorni sono delineati in modo netto come pretenderebbe la storiografia ufficiale del partito. Non si tratta infatti di una divisione fra un riformismo europeista moderato e moderno rappresentato da Togliatti e da Longo da un lato, contro una corrente velleitaria nostalgica della lotta armata rappresentata da Secchia. La questione è molto più complessa. Pesano nel Partito che ha attraversato vent'anni di clandestinità e di dipendenza da Mosca, le vicende torbide della Spagna e della Francia, di molti militanti della sinistra libertaria assassinati come Berneri e Tresso. Ma non basta, ci sono i nomi di tanti militanti sfuggiti al fascismo per raggiungere la terra promessa del socialismo realizzato accusati poi di trotzkismo e morti di stenti in Siberia o, peggio, una volta rientrati in Italia, consegnati alla polizia fascista. Insomma molti militanti comunisti che hanno veramente creduto nel partito come entità collettiva capace di redimere l'umanità nel "secolo breve", hanno vissuto il grande sogno presto trasformatosi nel grande incubo della storia. Giulio Seniga è in quegli anni un giovane dirigente del partito formatosi, negli anni del fascismo, nel lavoro in fabbrica all'Alfa Romeo, partigiano, protagonista della liberazione. Seniga, come molti comunisti di allora, crede nell'azione diretta come emancipazione del'individuo e della collettività. I tatticismi del togliattismo e soprattutto quello che si va delineando come culto della personalità e come "professionismo della politica", disegnano un partito di massa fortemente centralizzato dove il dibattito è precluso e dal quale si può essere espulsi per omosessualità, come accadrà al giovane Pasolini, o per dissidenza dal comitato centrale. Seniga è il fiduciario di Secchia. Gli vengono affidati compiti delicati come quello della sicurezza dei dirigenti. Sono gli anni delle 'volanti rosse'. Giulio Seniga tiene un diario, atto questo già di disobbedienza alle regole imposte ai dirigenti per ragioni di sicurezza e anche di opportunità politiche in un fase di grandi trasformazioni storiche imminenti. Si pensi alla morte di Stalin nel '53, all'invasione dell'Ungheria, alla successiva destalinizzazione, e alla continua e pervicace secretazione dei documenti storici. Nel diario di Seniga si narra come a un certo punto Secchia sia stato costretto a nascondere negli indumenti intimi un importante documento redatto a Mosca. Si racconta degli incontri a casa di Gianni Brera, dei rocamboleschi viaggi di ritorno dall'Urss. Seniga è sempre più convinto della necessità di spingere Secchia a una virata a sinistra del partito, fino a quando, nel 1954, egli che è stato l'uomo di fiducia della sicurezza dei massimi dirigenti, capace di pilotare un aereo che li avrebbe portati in salvo, lo stesso che guida un'Alfa Romeo da Milano a Mosca dono dei compagni italiani a Stalin, decide di prelevare i fondi di finanziamento provenienti da Mosca, circa 500mila dollari, per finanziare l'organizzazione di un movimento di sinistra, Azione Comunista. Questo episodio rimarrà cruciale e leggendario nella storia del Pci. Seniga verrà accusato di essersi arricchito fuggendo in Costa azzurra con la cassa del partito. In realtà vivrà con l'equivalente della paga di operaio specializzato e condurrà una battaglia davvero riformista e libertaria avvicinandosi al Partito socialista e ai partiti laburisti internazionalisti sostenendo con coraggio anche la sinistra israeliana nei difficili anni sessanta, denunciando sempre la politica di Togliatti e Stalin, e tentando di riaprire la storia secretata del Partito, fino alla sua morte nel 1999.